Ida Travi RECENSIONI AI LIBRI di Ida Travi - estratti


This website and its content is all rights reserved.

visualizzazioni : 5330
IDA TRAVI :  ESTRATTI DALLE RECENSIONI AI LIBRI
(l'elenco è incompleto)


Ida Travi
IL MIO NOME E’ INNA
Moretti&Vitali 2012
in libreria dal 1° settembre 2012
postfazione di Alessandra Pigliaru 
pp. 189


per ordini:
segreteria@morettievitali.it


…  Sì, negli anni, attraverso queste figure, mi sono costruita una personale mitologia contemporanea... Qui, in particolare, riprendo temi e figure già presenti nella precedente raccolta TA’ poesia dello spiraglio e della neve. 
( Ida Travi)
rif. Tà poesia dello spiraglio e della neve Moretti&Vitali Editori
Selezione Premio Viareggio 2011

Estratto dalla recensione di Marco Furia per Le voci della Luna - Bologna
marzo 2013
"...sono versi capaci di richiamare una forma di conoscenza che ignora ogni grammatica e che, come ben si vede dalla seguente pronuncia, non sembra fare molto affidamento all'umano linguaggio
"Le foglie ci parlano, ci tengono un discorso
ancora non si fidano della nostra andatura"

Estratto dalla nota di Azzurra D’Agostino in  http://www.castellodivillaltapoesia.com
…Da mesi cerco di comprendere e analizzare cosa mi colpisce a tal punto, ma non credo si tratti qui di analizzare e comprendere.
Il fatto è che “Il mio nome è Inna” è un libro piuttosto sorprendente. Innanzi tutto, questo creare esplicitamente una comunità, un’epica, attraverso dei veri e propri personaggi che hanno le caratteristiche del mito, che hanno questa dimensione sovratemporale e inattuale, è qualcosa che non mi pare così frequente e soprattutto non con risultati a mio avviso tanto riusciti.
Poi, di sorprendente c’è la lingua, che procede a tratti come per balzi, per strappi; più che altro una cosa visiva, sensoriale, in versi come: “il bambino crescerà / lontano dalla ruggine”. Sembra che Ida Travi ascolti un tempo altro, proprio ficcata dentro questo tempo, e amplifichi un sentire che è tutta una saggezza fatta non dell’intelligenza richiesta oggi, ma più profonda, più antica… 
per nota intera clicca qui:
 http://www.castellodivillaltapoesia.com/ida-travi-il-mio-nome-e-inna-scene-dal-casolare-rosso/

estratto dalla nota di CHIARA ZAMBONI Il manifesto 15/12/2012
Qual è il modo giusto per vivere il nostro tempo, il tempo presente che ci avvolge, rispetto al quale molti rimangono indifferenti e ciò costituisce non la loro ma la nostra vergogna? Questa domanda è il filo orientante del testo poetico di Ida Travi, Il mio nome è Inna. Scene dal casolare rosso (Moretti & Vitali 2012), commentato con molta finezza da Alessandra Pigliaru nella postfazione. Questo filo, certo, non è espresso esplicitamente ma è coglibile di pagina in pagina. Ida Travi ci propone un esercizio di alterità all’interno del presente, non nel senso di rifugiarsi in un altro mondo diverso dal nostro, piuttosto, rimanendo in questo, mettendo in atto un esercizio di spoliazione.
http://poeticaepoetica.blogspot.it/2012/12/recensione-il-mio-nome-e-inna-della.html


Estratto dalla nota di Marina Corona in QUI LIBRI gennaio 2013
"Saggio, materno e nel contempo allucinato. L’ambiente che Inna  ci racconta ha un’atmosfera inquietante, Inna vi si muove con una consapevolezza allarmata e sagace. Parla di una tradizione, di una qualche antica sapienza del bene che non si deve abbandonare...(...)
E di amuleto in amuleto, di speranza in speranza si aprono le immagini finali del libro che sembrano trarre proprio dall’abbacinata modernità la loro realtà aurorale. Come se i personaggi si tenessero per mano in una fila di cui Inna è la figura trainante e così raggiungessero quella sorgente luminosa che lei aveva intravisto anche nello schermo del computer."
....nel bottoncino rosso del vestitino nero

estratto dalla NOTA DI TIZIANO SALARI
Il mio nome è Inna. Scene dal casolare rosso. Questo il titolo dell’ultimo lavoro poetico di Ida Travi. Indubbiamente si tratta di un casolare fantastico “in mezzo ad un campo grigio”. Già il rosso del casolare – “un punto rosso” che spicca nel “grigio”, dove arriva Inna passando “attraverso il campo innevato” e incontra altri tre che la stanno aspettando – è un segnale di vivacità, un contrasto. Sembra che IdaTravi abbia in mente una situazione primordiale in cui “c’è elettricità, ma si usano le candele”, dove “il telefono non funziona più”, dove “si parla, scrivere è un castigo...
...E che Ida Travi abbia colto dall’eterogeneo della sua esperienza passata, trasfigurandole nelle Scene dal casolare rosso, la sua riappropriazione del Sacro, lo si deve all’uso del linguaggio che, come scrive sempre Maria Zambrano, “nel linguaggio sacro la parola è azione. Le parole si uniscono in forme che aprono uno spazio prima inaccessibile”. E tale è lo spazio invernale, nella sua astrazione fantastica, in cui si muove Inna insieme a Zet, Nikka, Sasa e Ur.".
*
estratto dalla NOTA DI ROSA PIERNO a Il mio nome è Inna in Trasversale.it
"....... Si salta la frattura solo con gli occhi chiusi, solo dimenticando ciò che si sa e persino le profezie di cui il testo è disseminato. A tutto togliendo credito, a ogni cosa credendo. Eppure, si direbbe che la natura qui abbia ruolo autonomo rispetto agli oggetti: “Tu metti il fiore nell’acqua / e il fiore si riprende / Il fiore non sa quel che fa / ma quel che fa è meglio”. È la natura che garantisce la continuità: “Il sole sorgerà un’altra volta, te lo giuro /  cresceranno le mele rosse”. "

*
dalla NOTA DI FIORANGELA ONEROSO in anteremedizioni.it
"...Un parlare apparentemente tipico del senso comune (nel modo in cui lo intende Roland Barthes), ma lontanissimo dal senso comune. ...Una parola che, alla luce di questo suo presunto senso, il mondo lo nomina e lo denomina. Eppure non si sa se nel denominarlo, lo si conosca poi veramente. Infatti, Inna sostiene che non bisogna desistere dall’impegno di rinominare il mondo in modo altro: “Che vuol dire mondo?”; “Hai memoria di questo mondo? / Sai come si chiama questo mondo? / Tutti lo chiamano mondo, ma qual’é / il suo vero nome?”; “Giuro che questo mondo esiste, Zet”. La reiterata denominazione mette in crisi la stessa denominazione, per questo occorre fermarsi e riflettere. E riflettere significa anche evocare l’universale poesia: “Con la testa appoggiata al sasso / sotto la torre solitaria e grigia / Inna invoca l’antico melograno”. 
*
dalla NOTA DI STEFANO RAIMONDI- per PULP LIBRI n°100
"A fare da collante in questo teatro dell'esistere è Ia lingua, è Ia parola ridotta a linguaggio a segno a soglia d'oltrepassarnento, situata al centro di un'oralità che serve per "dire" l'effetto che produce il suono sul significato, il senso nella vita. Sono parole/frasi che hanno il sapore oracolare delle invocazioni, la comrnozione delle preghiere, Ia forza di chi si ritira nel silenzio di una scelta. Tutto si espone in un battesirno di luce e da questa via la poesia s'incarna, senza inganno, in un reale che si fa carne per adempimento e realtà'. 
<<Ho poche parole e m'arrangio con quelle/non voglio far torto a nessuno 'non voglio incantare nessuno/Volevo solo imparare dalla rondine>>."
http://poeticaepoetica.blogspot.it/search?updated-min=2012-01-01T00:00:00%2B01:00&updated-max=2013-01-01T00:00:00%2B01:00&max-results=31


 

--------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------

RECENSIONI a TA’ Poesia dello spiraglio e della neve

*
Estratto dalla recensione di Roberta Bertozzi in ‘Poesia’ Crocetti (dicembre 2011)
“…E se, come ha scritto Jean-Luc Nancy, l’ontologia è una fonologia, l’impressione è che la poesia di Ida Travi sia proprio tesa a verificare questo assunto; tesa a considerare l’espressione acustica non tanto in quanto medium o come articolazione di un discorso, quanto come rivelazione del nostro essere, di quel primo, e definitivo, stampo di noi che solo la parola a viva voce sa realizzare”.

* estratto dalla  presentazione per  Salotto Caracci settembre 2011 e pubblicaz. in L'Immaginazione Manni Editore di Vincenzo Vitiello
"...Difficile entrare nel cosmo poetico di Ida Travi, che, aperto a tutte le voci del mondo, tutte le accoglie trasvalutandole. Non è l’operazione comune all’uomo come all’animale, come alla pianta, l’operazione che è propria della vita, che cresce su se stessa nutrendosi dell’altro da sé; neppure è l’operazione che l’ermeneutica contemporanea ha teorizzato come ‘fusione di orizzonti’, che si attua nel dialogo tra uomini, appartengano essi alla stessa età o non, alla medesima storia e civiltà o non. È qualcosa di profondamente diverso, ché Ida non assimila l’estraneo a sé, all’opposto, tenta di farsi estranea con l’estraneo, e così lo trasvaluta, lo rende altro da quel che era, rendendo se stessa altra da sé.
Perciò quando dialoghi con lei, hai la sensazione che ti penetra nell’anima, e quel che hai detto, te lo restituisce cambiato, diverso, non dico più profondo, certo più intimo. Dopo che hai parlato con lei, ti senti legato alla tua parola: ecco son io, quel che ho detto son io. Sono la mia parola. E invece è il dono che lei ha fatto a te. La tua parola te la restituisce ‘più’ tua.  In – libro non difficile, difficilissimo – l’operazione è più complessa. Hai immediatamente l’impressione che Ida non abiti più il tuo mondo, il mondo di tutti e di ciascuno. In certo modo questo mondo – il comune, quotidiano mondo in cui ci muoviamo, pensiamo, viviamo – non c’è, non c’è più, posto che mai ci sia stato…”

estratto dalla nota di Franca Rovigatti  Il Manifesto  6 maggio 2011
 "...Ogni cosa in effetti luccica in questi versi, ma per spostamenti minimi, per gioie e dolori senza clamori, perché tutto è piccolo e grande allo stesso tempo, caduco e immortale. E lo stesso tempo ha sempre due volti, due vie, appunto: l'alto e il basso, la luce e la tenebra, la parola e il silenzio, e ciò perché, come scrive la stessa Travi ne L'aspetto orale della poesia,(1) "la lingua materna [...] lascia andare sia il trionfo che l'orrore. (...)"

per continuarea leggere gli estratti dalle recensioni 
clicca qui

estratto dalla scheda di Roberto Caracci (settembre 2011)
"---Non siamo semplicemente nella scrittura e non siamo semplicemente agli albori del linguaggio -non potremmo più esserlo-, quando la relazione neo-natale e neo-materna io/tu identificava la comunicazione con la percezione e la risposta al miracolo della pura voce materna. Siamo nella poesia che si volge alla propria origine, che lascia filtrare in sé il suono primordiale del mondo, delle cose, del corpo sonoro della madre...
....E' la tensione fra il dentro e il fuori, con la relativa pro-tensione del dentro verso il fuori e del fuori verso il dentro: brecce, fessure, tagli, spiragli nel muro, nelle porte, nelle finestre da una parte, in cui la nostalgia dell'infinito e dell'indefinito si riversa come nelle sforbiciate di Fontana...."
scheda video

* 
estratto dalla nota di Fiorangela Oneroso* (settembre 2011) 
"...Si vive in un continuo stato di stupore a rischio di frantumazione. Infatti, per Ida Travi, la vita è perennemente sottoposta al dominio del “Tà”, il suono onomatopeico che scandisce il passare del tempo, l’inizio e la fine: il taglio di un ramo, la prima sillaba di una parola, la sillaba ultima . Tà, fonema ambivalente. Creativo e distruttivo. Tà, come il bello e il  buono, ma anche come il triste e il crudele. Come il sereno e il tranquillo ma anche come il turbolento e l’inquietante. (...) "

* estratto dalla nota di Luigi Bosco Ricominciare da TÀ. Per una nuova mitologia contemporanea ( luglio 2011)
"...E a me pare che, con questa raccolta, Ida Travi tenti di fare proprio questo: assumersi la responsabilità di offrire al mondo la possibilità di una nuova realtà, con tutti i rischi che ciò comporta. Lo fa proponendo ciò che a me piace definire una nuova mitologia contemporanea che «narra ciò che in realtà non è, o non accade una volta per tutte, ma si fa, fuggevolmente diventa. (...) " 
                                        
*di Stefano Guglielmin ( giugno 2011) in blank de ta nuque
 "...In nessun altra poesia come in quella di Ida Travi ogni cosa (gesto, paesaggio, oggetto) tiene il mondo nella sua quadratura di cielo, terra, divini e mortali, lo si sente agire in essa, in una tensione com-movente. I quattro, infatti, si muovono insieme verso di noi, che siamo della stessa sostanza, ci scuotono intimamente, affinché ci si ponga in ascolto vigile della "briciola smagliante" che ogni cosa è nel grembo del mondo.(...) " 

*di Alessandra Pigliaru ( marzo 2011) in la dimora del tempo sospeso
"... La cesura di Tà. Poesia dello spiraglio e della neve (Moretti&amp;amp;amp;amp;amp;Vitali 2011) sta soprattutto nei luoghi inesplorati dove la poeta porta con sé simboli e cifre che la contraddistinguono cercando nuove tracce, nuove foglie che sanno sollevarsi fieramente, come un preghiera : Inna, mostrami il piede sicuro || C’è un fiore | sotto il piede sicuro || getta la croce|| la zolla è calda | l’erba cresce come una santa." (...)

*di Marina Corona (aprile 2011)
 "....Che cosa in “Tà” lega la voce narrante ai suoi compagni? Certo la comune inquietudine per qualsiasi coordinata spazio-temporale che li contenga, certo il comune senso di un’attesa incombente dell’avverarsi di un nuovo evento, tale da metter fine all’angoscia, ma che non si avvera mai, certo l’insidioso disagio per uno stare impossibile in questo ‘non luogo’ (...)

*estratto dalla nota di Rosa Pierno (aprile 2011) in Trasversale.it
"...Storie scompaginate, brandelli di storie, o meglio, nuclei da cui può partire un intero racconto, una saga. L’innocenza del racconto, riposando su un suolo infido. Saranno ancora quegli stessi simboli a mostrare la doppia faccia di ogni medaglia, l’altro  aspetto delle cose, quello raccapricciante: che slega e fora. Inutilmente si farà riferimento al sonno come elemento riparatore, che solleva da tale stressante realtà. Non sarà che il sonno procura gli stessi deliri presenti nel linguaggio?"  (...)


*
estratto dalla nota di Luce Tondi (giugno 2011) in poeticaepoetica.blogspot.com
"...Il contrasto sta tutto in una forma di espressione che definirei appunto obiettiva, aderente alla vita concreta delle persone, e nello stesso tempo profondamente rarefatta nella sua tragica astrazione, con quegli interrogativi tutti senza risposta, per cui l’unica possibilità è resistere, farsi forza. Anche se il dramma è perentorio “sei troppo vicina alla morte/ sei a rischio”  alla fine “torneremo a casa? / Sì / torneremo a casa” (...)


RECENSIONI a LA CORSA DEI FUOCHI

estratto dalla nota di Tomaso Kemeny per Poesia 2007 (n.p)
Questo misterioso libro di versi va contestualizzato nell’ambito del lavoro teorico della poetessa (L’aspetto orale della poesia, 2000),nonché nell’ambito del suo lavoro compositivo (si vedano testi poetici scritti per la musica e messi in scena Il solitario e Il canto del moribondo e del neonato, rispettivamente del 2001 e del 2003). Libro misterioso in quanto pare essere il doppio di un testo non scritto, muto in quanto registrato nello “azzurro” onirico,ma velato al risveglio da quel silenzio che impone la scrittura, o se vogliamo, ispira alla traduzione della scrittura onirica nella lettera della lingua madre. (…)

*
Estratto dalla nota di Marco Ongaro in www.tellusfolio.it 2007
La lacrima che cade sul vetro come un sasso parte forse da lì, così come il sollievo di esserci salvati dall’inutilità dell’oblio. Poiché si scrive, si scrive ancora la Voce di Cassandra. Non siamo più soli. Il poeta parla a chi sa e a chi non sa tace. Quindi quando parla, quando canta, non è solo, se c’è qualcuno che sa. E quando scrive non è solo, poiché invasato dalle Voci che l’hanno preceduto, un’unica Voce. I fuochi corrono da un punto all’altro del tempo. Sono la Voce che viene passata di veggente in veggente, di poeta in poeta. 
*

estratto dalla nota di Roberto Bertoni per carteallineate.it 2007
La CORSA DEI FUOCHI si apre con un'epigrafe tratta da Artaud: "Si tratta di dare alle parole, più o meno, l'importanza che hanno nei sogni". L'autrice precisa che sono "poesie scritte nella nostalgia d'un canto, forse d'un canto mancato". Sono, a riscontro di chi compila queste note, poesie sospese su immagini ancestrali di aridità e vitalità, in passaggi di tempo, spirito, stagioni, figure emerse dal buio e nella luce.

*

estratto dalla nota di Alberto Cappi per La Voce di Mantova agosto 2007
Siamo accanto a  una poesia che ascolta il proprio farsi, che abita la propria coscienza. Si ascolta nel flusso  del tempo,si ascolta nel teatro del sogno, si  ascolta nel film della visione.
Perché  questo? Ovviamente  perché ci sia scrittura. Ma anche perché tra le parole ci sia quella che rivela. Apre le scene all’infanzia, chiama  il cielo della fantasia, visita la voce perché doni lettere vicine alla verità. “Poesie per la musica” è il sottotitolo. E quale musica? Forse quella dell’incontro tra  musicalità della sillaba, andatura del verso e il loro innnalzarsi verso una corale  composizione.
E’ il manifestarsi del trasformante del testo. La visibilità del segreto del poeta. La sua aria tra le arti: “Noi facciamo una piccola famiglia, solo respirando, solo versando un po’ d’acqua dalla mano.” 



*
estratto dalla nota di Luca Benassi in Noi Donne maggio 2007
Ida Travi ci fa immergere negli elementi primi: l’acqua, il cielo, le nuvole che corrono veloci, gli alberi e i canneti, il fiume, il ruscello e il mare. L’uomo appare quasi nascosto, con le sue campane e il vociare dei bambini che appena incidono i silenzi della campagna. È una corsa verso la verità e l’origine dell’esistenza, dove vivi e morti si parlano attraverso segni e gesti silenziosi, attraverso porte e finestre spalancate all’azzurro del cielo. La lingua è netta, semplice, lavora sul ritmo e sulle anafore, si fa fruscio, suono, esalta la pausa ed il respiro, esplora i terreni sonori dell’inconscio che precedono il linguaggio.

*
estratto dalla nota di Giancarlo Calciolari per Transfinito.it maggio 2007
Qualcosa comincia nel libro di Ida Travi La corsa dei fuochi. Poesie per la musica (Moretti e Vitali, 2007, pp. 117, € 18,00) con l’esergo di Antonin Artaud che dice che si tratta di dare alle parole, più o meno, l’importanza che hanno nei sogni, e con l’esergo di Simone Weil che indica come rimedio nell’attesa : trattare gli uomini come uno spettacolo. E questo accade prima che Guy Debord faccia dello spettacolo una società spettacolare da combattere.
E qual è l’importanza che hanno le parole nei sogni se non quella di non essere soggette alla padronanza di un “io” ? Ma non è solo la libertà della parola a essere ripresa da Ida Travi nei due eserghi, è in gioco la sua originarietà.

*
estratto dalla nota di Marco Furia per Gradiva Italian Literary  sett. 2007
In “La corsa dei fuochi”, di Ida Travi, un lessico dal ritmo battente, conciso, accosta, con sapienza, piccoli spazi, fisici o del pensiero, tratti quasi colloquiali, ad immagini dalla notevole valenza tragica, colta, spesso, nei suoi aspetti fisiologici: “Sono spezzate le ginocchia sulle quali riposammo”.
Una tragicità che stupisce, folgora, sempre trattenuta entro i perimetri di toni agili e pregnanti, accorti nell’ evitare benché minime ridondanze: di compostezza, davvero, qui si tratta, di quella, rara, in cui la misura risulta, nel contempo, garbo e dignità.
*
estratto dalla nota di Stefano Guglielmin per L’indice dei Libri maggio 2007
Da sempre Ida Travi canta solitudine ed esilio quali avamposti dell’umano, del terrestre sostare tardomoderno fra le rovine dell’occidente, terra del tramonto. Un canto che, in questo libro, prende l’avvio dai fuochi in festa per il ritorno dell’Agamennone eschileo, un ritorno carico di sventura, come sappiamo, tanto da leggersi emblematicamente come se la nascita della civiltà mediterranea fosse, da subito, attraversata dalla morte, dalla caduta. Il recinto della polis, infatti, pare raccontarci La corsa dei fuochi, è slabbrato sin dall’inizio, e così l’unità, il centro, il senso duraturo.
*
estratto dalla nota di Loredana Magazzeni per Leggendaria maggio 2007
Nel primo dei saggi raccolti in “Spiagge straniere”, J.M. Coetzee ripercorre, sulla scorta del discorso inaugurale di Eliot alla Virgil Society di Londra, la nozione di classico. Classico appare non solo ciò che dura nel tempo conservando bellezza e senso, ma anche ciò che sopravvive alla sua epoca “in termini allegorici: come l’opera capace di dare un senso all’epoca”.
In termini “allegorici”, ma di una allegoria che è anche e soprattutto identificazione empatica, Ida Travi elegge a pietra di paragone i classici in ciascuna delle sue opere, dalle prose poetiche de  “L’aspetto orale della poesia”, all’atto tragico “Diotima e la suonatrice di flauto”, al suo ultimo libro di poesia, “La corsa dei fuochi. Poesie per la musica” che è soprattutto, per dirla con le sue parole, un “libro di canti”, contenuti nel CD allegato e musicati da Andrea Mannucci, per la voce di Patrizia Simone e della stessa Travi.

*
estratto dalla nota di Alessandra Milanese per L’Arena febbraio 2007
Siamo al “Forum” della Fnac. Travi è qui per presentare il suo ultimo libro di versi “La corsa dei fuochi” (Moretti e Vitali). Un lavoro che va oltre i precedenti, in quanto alla poesie scritte è stato aggiunto un CD nel quale i versi di Ida, musicati dal maestro Andrea Mannucci, vengono interpretati dalla voce della giovane Patrizia Simone.
 “E’ la messa in pratica di una teoria che avevo espresso nel mio saggio ‘L’aspetto orale della poesia’” spiega la poetessa che, comunque, ritiene che nella lirica ci si già il sembiante del canto.
 Il concetto viene ribadito dall’introduzione del giornalista e critico musicale Enrico De Angelis, che spiega come, per gli antichi Greci, musica e poesia fossero una cosa sola. Basti pensare ad Alceo e Archiloco per arrivare alla melodia di Saffo.



*
estratto dalla nota di Giuseppina Rando per Leggere Donna
Al lettore/ascoltatore, attento e sensibile, poesia e musica appaiono, soprattutto, come una sorta di universo dove ogni verso, ogni nota assumono la singolarità, la profondità dell’”essere poeta “, insieme a tutte le modulazioni musicali del pensiero: il pensiero che s’intreccia alla poesia e si esprime in canto.
Pensiero poetante” ha definito Antonio Prete quello di Giacomo Leopardi, “pensiero che canta “ si potrebbe chiamare la poesia di Ida Travi dove “ i lampi del giorno e lo scintillio delle stelle hanno il rigore dei concetti…il meditare dell’essere ha l’abbagliante impeto delle onde folgorate dal sole…il sapere ha un respiro e il vento che scuote gli alberi ha la forza di un’ illuminazione interiore” (A. Prete ).
 Si, perché è là, “nel buio di un luogo interiore” – scrive la Travi nella nota introduttiva – che “nasce la poesia “.

*
Estratto dalla nota di Simone Azzoni per messain scena al Teatro Camploy 26 e 27 febbraio 2008 in L’arena
Operazione difficile il teatro poesia: è la spazializzazione della parola lirica, la carnalità e la temporalità del presente dei versi. Più facile se è il “femminile” a costruire le sponde entro le quali la narrazione si fonde alla poesia; il femminile che rimbalza dalla platea al palco del Camploy per sostenere LA CORSA DEI FUOCHI scritto e diretto da Ida Travi. La sua poesia dell’ascolto, dell’oralità, dell’evocazione si fa apertura ad altri linguaggi nelle coreografie di Giuliana Urciuoli e nella voce di Daria Anfelli. E’ respiro  ampio la loro unità costruita su una sottile, impalpabile struttura che dice della fragilità dell’anima e delle sue vibrazioni.

*
estratto dalla nota di Tiziano Salari in L’Immaginazione 2007
Il titolo dell’ultimo libro di Ida Travi, La corsa dei fuochi,  rimanda all’apertura dell’Orestea di Eschilo, quando la sentinella che, stando sulla casa degli Atridi sdraiata sulle braccia alla maniera di un cane, in attesa del segnale di una fiaccola che porti la notizia della conquista di Troia, finalmente avvista nella notte il segnale di fuoco che annuncia l’evento, allo stesso tempo lieto (la città di Troia è stata presa!) per il ritorno di Agamennone, e inquietante, per il massacro che nella reggia si sta preparando all’arrivo del re. Con questo inizio l’autrice sembra voler ridestare in noi il senso del tragico, così come a lei si presentò, quando, ancora bambina, accucciata come la guardia di Eschilo in un angolo della propria casa, lesse l’Orestea, e si chiese (riprendendo le parole della sentinella accovacciata) a chi comunicare le sue senzazioni e a chi no. “…a chi sa io parlo volentieri, a chi non sa io taccio”

*
estratto da Corriere della seraonline a cura di Ottavio Rossani 25 febbraio 2007
Il titolo dell’ultimo libro di Ida Travi, La corsa dei fuochi,  rimanda all’apertura dell’Orestea di Eschilo, quando la sentinella che, stando sulla casa degli Atridi sdraiata sulle braccia alla maniera di un cane, in attesa del segnale di una fiaccola che porti la notizia della conquista di Troia, finalmente avvista nella notte il segnale di fuoco che annuncia l’evento, allo stesso tempo lieto (la città di Troia è stata presa!) per il ritorno di Agamennone, e inquietante, per il massacro che nella reggia si sta preparando all’arrivo del re. Con questo inizio l’autrice sembra voler ridestare in noi il senso del tragico, così come a lei si presentò, quando, ancora bambina, accucciata come la guardia di Eschilo in un angolo della propria casa, lesse l’Orestea, e si chiese (riprendendo le parole della sentinella accovacciata) a chi comunicare le sue senzazioni e a chi no. “…a chi sa io parlo volentieri, a chi non sa io taccio”


RECENSIONI A NEO/ALCESTI

estratto dalla nota di Ivana Cenci per presentazione Vicenza Libreria Feltrinelli (?)
Ho desiderato fortemente vivere e dar modo ad altri di vivere questa esperienza, che ritengo unica nel suo genere e che sento come un’occasione di viaggio: un viaggio volto a incontrare la parte più profonda e remota di noi stessi, sostenuti e guidati dalla lucida consapevolezza e dal procedere sicuro e sereno di Ida Travi. Ida Travi è donna, poetessa, saggista e drammaturga, ha al suo attivo un’ampia e originale esperienza con il teatro e sa coniugare un sapere arcaico, legato al mondo della tragedia greca e della saggezza intuitiva più remota, con la realtà e l’esperienza della vita quotidiana contemporanea, rivolgendo un’attenzione particolare al mondo e al vissuto femminile, dando voce a contesti, situazioni, emozioni e stati d’animo che difficilmente troveremo espressi in scritture altre.
*
estratto dalla nota di Giuseppina Rando per Leggere Donna settembre 2008
Consapevole che i miti originari danno senso alle radici del reale e si pongono come forze che reggono il mondo, anche in quest’opera, come in   La corsa dei fuochi  , Ida Travi  trae spunto dai miti della tragedia greca.
L’angoscia  esistenziale dell’uomo contemporaneo, in verità, rimanda, per diversi aspetti, al mondo classico e alla lacerazione tra l’io e il mondo e, come allora, così anche oggi, si determina quella fuga volontaria dalla realtà e si crea una serie di immagini e di sogni che riportano alla “voce” della poesia che vive nel tempo e con la quale gli uomini possono scoprire il loro Essere nel flusso della vita,  nell’Alcesti  , appunto.
*
estratto dalla nota di Stefano Guglielmin per Blanc de ta nuque.it
". Ogni cosa si muove per minimi scarti nel silenzio imperituro, che ha nella "casa" la sua allegoria, quella presenza metafisica capace infinitamente di cantare la propria oscura consistenza e che respira ovunque, pervadendo la madia, il tavolo, la foglia, l'agire e il patire degli esseri che vi dimorano o che la circondano. Ogni elemento, così, si scioglie dal proprio destino solitario, disperato, per acquietarsi in un presente carico di promesse, il cui lampeggiare è tenuto vivo proprio dalla nuova Alcesti, intrusa eppure regina dell'oikos, nominato "LOCANDA DELLA FELICITÀ".
*
estratto dalla nota scritta da Stefano Guglielmin per Poesia (n.p)
Sguardo attraversato dallo stupore; voce provvidenziale per annunciare che si può vivere anche in questo tempo della povertà, che si può anzi uscire da esso, a patto di pensare la nascita e la morte quale ciclo pieno d'amore di un essere leggero, bello come una vela, gonfia e diretta verso n orizzonte che ci abbraccia.

*
estratto dalla nota di Roberta Bertozzi per Poesia (n.p?)
Nella sua Ars poetica Ezra Pound ha scritto che “quando uno sente e pensa veramente balbetta le parole più semplici”. Affermazione che credo ben adattarsi all’opera di Ida Travi, sia per quanto concerne il dato espressivo della sua poesia, calibrata su una pronuncia tesa e trasparente, vicina a quella solidità della nominazione che appartiene al primo articolare parole, sia nei presupposti teorici che da sempre accompagnano la sua ricerca (da ricordare, del 2007, la raccolta di saggi L’aspetto orale della poesia). Condizione di semplicità è l’attingere della sua scrittura da un fondo archetipico, in senso strutturale e biologico, da uno strato linguistico intimamente connesso al nostro immaginario e alle sue pulsioni. Al punto che, pur muovendo da una narrazione tragica (qui la vicenda di Alcesti, sposa di Admeto, che dopo essersi sacrificata per lui fa ritorno dal regno degli inferi), ciò che vibra sulla scena del testo sono unicamente gli stati, oggettivi e psichici, provocati dalla narrazione, che non coincidono neanche più con essa quanto con l’impressione, proprio nell’accezione di marcatura, che ne abbiamo ricevuta.

*
estratto dalla nota di Marco Furia per Il Fiacre n°9
Con tocco intenso e conciso, elegante, mai ricercato, sempre disponibile ad interrogarsi su ogni avvenimento, anche il più comune, ben conscia di come grande, piccolo, importante, trascurabile acquistino diverso significato nel contesto più ampio dell'integrità umana alla quale la sua poesia si rivolge, Ida Travi offre un testo da meditare e da leggere d'un fiato, da apprezzare nei raffinati particolari e nella dimensione d'immenso affresco, una scrittura nello stesso tempo immediato gesto e interminabile poema.


RECENSIONI A L’ASPETTO ORALE DELLA POESIA E INTERVISTE
SULLA POETICA

*  in QuiLibri gennaio 2012 (Librerie Feltrinelli) 
estratto dall’intervista a cura di Marina Corona dall'intervista
   D.  Come tutta la tua produzione ha un aspetto che definirei enigmatico. Tu dici, nella quarta di copertina che Tà è un luogo: “… forse una casa, forse un’ex fabbrica …” e che il suo nome dipende, per analogia, da parole come: “… taglio, tavolo, tasca … carità …” queste affermazioni rendono da sole ragione del clima enigmatico che circonda “Tà”. Ora io ti pongo due domande, una generale e una più personale: la vita per te è un enigma irrisolto o un processo in qualche modo consequenziale? E poi: nella tua esperienza di vita c’è un enigma?
R. In copertina Tà, poesia dello spiraglio e della neve mostra una tela bianca tagliata. E’ un omaggio a Fontana. Da un lato l’immagine dice il bisogno di rompere con lo stato delle cose e d’altro lato dice del taglio che io stessa ho inferto al mio linguaggio, riducendolo all’osso. Ma un taglio su una tela è anche uno spiraglio, ristabilisce il dentro e il fuori, ti ridà il limite d’un mondo. E’ una fessura e ti ricorda che c’è un oltre, aldilà del punto in cui sei.  Dopotutto la vita stessa comincia così…Con TA’ ho  cercato di spogliare la poesia d’ogni orpello. In TA’ c’è una certa adesione alla realtà, però come da sopra, sì, c’è una specie di sur/realtà. C’è il mondo naturale ma si pensa a qualcosa di sopra/naturale. Come se lì, in TA’, il reale coi suoi pochi oggetti sparsi, sforasse nello spirituale. Cosa c’è di sopra/naturale in una vanga, in un ramo, in un cucchiaio? Non so, del resto niente di sopra/naturale si acquista direttamente da una dimensione spirituale, bisogna prima aver a che fare con la vita materiale, e c’è sempre un passaggio, uno spiraglio appunto, che ci aiuta a passare da un piano all’altro. Da questo passaggio continuo, da questo scentramento nasce forse l’impressione di enigma che hai notato. Un enigma è una domanda che rimane separata dalla risposta. Come la poesia stessa.

*

INTERVISTA DI ANTONIO LORETO A PARTIRE DA L’ASPETTO ORALE DELLA POESIA
Monza Teatro Binario gennaio 2008
Pubblicata in L’IMMAGINAZIONE aprile 2009
In AIRC Archivio Istituzionale della Ricerca Università degli Studi di Milano
 D. Come spesso è bene fare, partiamo dalla fine: nella nota che chiude L’aspetto orale della poesia tieni a precisare che si tratta di un lavoro più vicino ad un’opera poetica che a una raccolta di saggi. E in effetti le tue argomentazioni non si affidano a un procedere razionale bensì ad immagini suggestive, come quella della tazza. Soffermiamoci proprio su questa: che cosa significa, e a che cosa rimanda? R. L’aspetto orale della poesia è uscito anni fa in prima edizione per Anterem (2000) ed è stato rieditato, in III° edizione, da Moretti&Vitali nel 2007. Si tratta si appunti e note che ho scritto in varie occasioni di studio e seminari tenuti a Verona nella seconda metà degli anni ’90. ‘ Se una tazza appoggiata sul tavolo in una sera invernale’ è l’immagine che apre il libro… A sua volta Luisa Muraro nel suo libro Il Dio delle donne colpita da questa immagine la riprende come figura mistica. E forse è un po’ così.

*
CINQUE DOMANDE A IDA TRAVI a cura di Alessandra Pigliaru                 agosto 2010
Non un libro ma un link che ci riporta alle opere di Ida Travi attraverso la sensibilità critica di Alessandra Pigliaru e l'introduzione di Francesco Marotta
http://www.radiopopolareverona.it/index.php?module=Pagesetter&func=viewpub&tid=10&pid=17

----------------------------------------------------------------------------------------------------
SAGGI SULLA POETICA DI IDA TRAVI

*
estratto dal saggio in tre parti di Sergio Zanone Sommovimenti nel poema di Ida Travi in Anteremedizioni.it

*
saggio di Alessandra Pigliaru sulle opere di Ida Travi: Il corpomente della parola

--------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------

RECENSIONI DIOTIMA E LA SUONATRICE DI FLAUTO BALDINI CASTOLDI DALAI 2004

Recensione RAI UNO
GR PARLAMENTO – LIBRI IN CAMERA
MARINA PIVETTA

Da Il Corriere della Sera Estratto dalla nota di Elisabetta Rasy
Magazine -6 marzo 2005

 ‘Nei film vengono definite comparse: figure che compaiono e scompaiono attraversando la scena per il tempo di una battuta, o un gesto solo. Per servire l’azione degli altri. Spesso nel cinema come in letteratura sono figure femminili decorative ma irrilevanti. Una poetessa italiana, Ida Travi, ha pescato o piuttosto ripescato una di queste umili stelle filanti in uno dei testi fondamentali della nostra cultura Il Simposio di Platone.: nel celebre dialogo ambientato durante una festa, gli amici riuniti –tutti uomini- quando decidono di conversare sul tema dell’amore allontanano la suonatrice di flauto che fino a quel momento aveva rallegrato la serata. La flautista scompare nel nulla. Da questo nulla l’ha riportata in scena Ida Travi dedicandole un testo che è una concentrata tragedia tutta al femminile.
…………..’

-Da l’Indice dei Libri Estratto dalla recensione di Luisa Bistondi (marzo 2005)
 ‘Ida Travi definisce il suo Diotima e la suonatrice di flauto un testo anomalo. Anomalo perché cancella le distanze tra poesia e filosofia? Tra scrittura teatrale e filosofia? Poetessa, Ida Travi dice che la poesia orale è la base da cui nasce il teatro e germina il pensiero (L’aspetto orale della poesia - Anterem 2000  -Selezione Premio Viareggio 2001)Ne consegue che questa sua opera non è più così anomala, soprattutto se si pensa alla lezione di Maria Zambrano, la quale si è rivolta agli albori della nostra cultura, a quel ‘prima in cui poesia e filosofia erano uno, prima che poesia e filosofia diventassero due, e fra loro molto diverse.’
*
Leggere Donna- gennaio febbraio 2005 -Estratti dalla recensione di Annarososa Buttarelli
……………………….
Siamo avvertiti: ciò che leggeremo nell’“atto tragico” non è il prodotto di un’esercitazione poetica, ma è una creazione poetica che permette a voci silenziate di farsi udire secondo la loro verità. La rivendicazione di verità è la stessa di María Zambrano quando ci assicura che è Sofocle ad avere sbagliato la conclusione della sua tragedia per difetto di pratica dell’ascolto. È la stessa rivendicata da Marguerite Yourcenar quando, in stato quasi estatico, ascolta e trascrive la voce dell’imperatore Adriano. Sono rivendicazioni di verità frequenti come gesti della differenza femminile che cerca di farsi largo nei contesti di occultamento o di negazione. Si tratta certamente di una necessità per la mente e anche per il sentimento di una certa giustizia.
…………
Il ricco saggio introduttivo di Luisa Muraro, In versi e in prosa, intercetta e sottolinea anche un aspetto non secondario dell’opera di Ida Travi, non facile da comprendere: è un atto tragico perché Anna, la suonatrice di flauto, alla fine si suicida, nonstante la cure amorevoli di Diotima e della nutrice. Perché? Luisa Muraro vede, in questa scelta drammaturgica, l’accettazione da parte della poetessa della legge canonica degli atti tragici: si deve finire con una o più morti. Secondo la filosofa, Ida “è attratta dal fascino dell’Atto tragico con la sua caratteristica, di un agire che la casualità e la morte impediscono di fare arrivare alla sua compiutezza, e tuttavia non disperso, trovandosi tutto raccolto nello spazio peculiare del teatro greco”.  Insomma, la mancanza del lieto fine onorerebbe il fatto che c’è il caso e c’è la morte che fanno deporre ambizioni di compiutezza rappresentabili con l’esito positivo della vicenda della protagonista. Lettura suggestiva che lascia aperta comunque una domanda sulla morte di Anna, la suonatrice di flauto, tanto più che Ida Travi in un’altro testo molto importante (L’aspetto orale della poesia, Anterem 2000 –Selezione Premio Viareggio 2001) prova a condurre la sua riflessione fino al “superamento del tragico”, dato che le interessa mostrare – non abbiamo dubbi al proposito – che “mettere al mondo, porre all’aperto, non significa solo mettere in pericolo”. (Annarosa Buttarelli)

*
da www.transfinito.it Diotima e la suonatrice di flauto. Atto tragico estratto da Giancarlo Calciolari
Ida Travi in Diotima e la suonatrice di flauto. Atto tragico (La Tartaruga, 2004, pp. 82, € 10) legge le fiabe della filosofia e si trova a inventarne altre.

La restituzione in qualità del testo occidentale, senza più decostruzione né archeologia, non è facile. Occorre la scienza della parola che è sorta con il rinascimento sulla scia delle istanze dell'ebraismo e del cristianesimo, tra Gerusalemme e Roma. Non la scienza del discorso, che viene formalizzata a Atene, nel momento che sorge l'impero, con Alessandro allievo di Aristotele, sino a essere diventata oggi canone occidentale.

Come dissipare il canone e restituire il testo, che non è mai stato scritto? Infatti, se il più grande filosofo della fine del novecento è stato Jacques Derrida, è pur vero che il suo lavoro è consistito in una postilla a Platone, essendogli servito Heidegger per precisare questo aspetto.
………………………
*
Estratto da ‘Il Segnale ’n° 71 - Recensione di Giuseppina Rando
‘Come la filosofa Maria Zambrano la poetessa Ida Travi cerca nel mondo greco gli albori della nostra cultura, quel prima che unificava poesia e filosofia :’ ‘…le accomuna’ – scrive  Luisa Muraro nell’Introduzione ‘ un tratto della scrittura che trascende ogni polemica. Entrambe inseguono una scrittura in cui prima della parola, viene l’ascolto: viene e si esprime nella scrittura styessa come una cavita….’ Questo discorso richiama un’altra importante opera della Travi (L’aspetto orale della poesia Anterem 2000- Selezione Premio Viareggio 2001) dove tra l’altro si legge ‘Nella sensualità del primo vagito, del peimo suggere un seno, nel primo abbraccio dopo la lunga emersione dal nulla si tesse una trama tragica :chi consegna alla vita consegna alla morte e lo fa per amore’

*

‘Diotima e la suonatrice di flauto’ Estrato dalla recensione di Sara Zanghì da L’Immaginazione sett. 2005

 ‘Un libro avvincente formato da un’opera teatrale ‘Atto tragico’, da un racconto La Verità, e da un’appendice  Ritratto di Anna che per le loro intrinseche corrispondenza si presentano come un testo unico.
…………niente di meglio che citare qualche brano del saggio introduttivo di Luisa Muraro ‘Si tratta di uno stare o di un andare dentro/fuori rispetyto a una scena illuminata, popolata da personaggi di rango superiore, dei o filosofi, da parte di chi non appartiene a quel mondo e ci sta a disagio, o ne sta fuori, o ne va fuori perchè segnata- spesso è una donna, qualche volta è un uomo- da un ‘meno’ che apre un buco nell’orizzonte dell’autosufficienza, così che altro possa avvenire, un incontro, un dio, un testo…’
Una  nuova forma d’invenzione. Per la quale è necesario ‘fare il vupoto’. Un buco, o una specie dio traforo. O: straforo, extraforo, scrive ancora Luisa Muraro e conclude: ‘La combinazione delle due figure femminili da lei (Ida Travi) inventata è ‘opera di straforo’nella cultura tradizionale.’
Lo è anche L’aspetto orale della poesia, della stessa autrice (Anterem 2000 – Selezione Premio Viareggio 2001), che si richiama direttamente alla Grecia arcaica, a un prima in cui la poesia fu un dono orale, un’enciclopedia del mondo, un’epica…..’

*
Da  Una nota di Daniela Cabrini per il Giornale di Cremona gennaio 2005
Il libro di Ida Travi si situa in una ben precisa intenzione che muove un percorso creativo del 900.
Si tratta di ripensare figure del mito nel mito, riascoltarle, dare loro altra voce alla luce della storia e di una nuova consapevolezza poetica.
Mi riferisco a Christa Wolf e alla sua Medea, a Maria Zambrano e alla sua Antigone, a Marina Cvetaeva e alla sua Fedra.
….al poeta non resta altro che il canto e la tragedia come scelta autentica ed etica di resa di/a ciò che è successo e di rinnovo di una parola poetica iniziale che torni a raccontare. Rari sono i libri in cui la narrazione è così vicina alla parola, in cui lo scorrere delle pagine sussurra il ritmo della storia stessa.
*

Leggendaria – Maria Clelia Cardona sett. 2005

 “…molte scrittrici moderne si sono poste l’obiettivo di dare voce a chi non l’ha avuta…è quanto hanno fra le altre. Corista Wolf e Maria zambiano, l’una narratrice e l’altra filosofa…..ed è quanto fa Ida Travi. La differenza più evidente rispetto a wolf e zambiano è che Ida Travi accende un punto di vista femminile non all’interno di un poema o di una tragedia, ma di un’opera filosofica, cioè in un campo da sempre considerato poco congeniale alle donne.”
*

La Cronaca- Giornale di Cremona  Giorgia Capelli gennaio 2005

I filosofi nel Simposio parlavano d’amore per astrazione. Ida Travi ha compiuto in concreto il più grande gesto d’amore: il dono gratuito di una penna che ha disegnato i tratti di due donne dimenticate nella polvere degli anni.”
*

AARDTAssociazione Archivi Riuniti Donne – Gisella Togliani Poltrinieri

“All'Atto tragico vero e proprio - del quale sarebbe un peccato svelare ulteriori intrecci perché sono tanti, e scovarli è puro piacere di lettura - seguono, da considerare come vere e proprie parti integranti del testo,
"La Verità", narrazione di come si è risvegliata in Ida Travi l'immagine della suonatrice di flauto cancellata dalla storia e "Ritratto di Anna", breve ritratto della suonatrice di flauto che consente alle lettrici e ai lettori di ricreare anche visivamente la sua figura. “
*

Giancarlo Calciolari - Transfinito

“L'opera di Ida Travi pone una questione insormontabile alla filosofia: non tanto quella di rattopparsi con la decostruzione, il terzo istruito, o le trivellazioni dell'essere, ma quella di analizzare i suoi principi di morte e di reperire i principi di vita, la sua logica e la sua industria. Ammettere la suonatrice di flauto nella parola è porsi la questione donna.”
*

L’Immaginazione -Sara Zanghì

“ Ida Travi crea il personaggio della suonatrice, Anna. Le dà corpo pensiero, storia.
La fa incontrare con Diotima… Il luogo dell’incontro ha valenze simboliche: un sentiero tra gli ulivi rischiarato dalla luna, presso una fonte. La presenza evocata di Diotima richiama a quel prima arcaico quando ancora non esistevano separazioni tra sentire e pensare.”
*

Il Segnale – percorsi di ricerca letteraria- Giuseppina Rando

“ La poesia e la prosa di Ida Travi in questo atto tragico assumono una misura inconfondibile: la tensione drammatica in alcuni punti si fa sommessa, quasi sussurrata e sgorga come l’acqua dalla fonte, dall’intimo. Poesia e filosofia, teatro e musica, presente e passato, antico e moderno. Presenze/assenze s’intrecciano al punto da formare un tessuto magico che avvolge, come in un abbraccio, mente e corpo e avvolge il lettore in una dimensione onirica.”
*

Literary.it estratto dalla nota di Stefanoni nov. 2004
L’atto tragico Diotima e la suonatrice di flauto di Ida Travi si colloca sul filone della tradizione letteraria e filosofica greca e, richiamando per alcuni versi, il logocentrismo di Platone, pone l’attenzione sul ruolo della donna nella storia dell’umanità. La donna, grande presente/assente lungo il corso dei secoli, ritorna in una scrittura capace di porre e di svolgere, anche in chiave e struttura teatrale, quell’analisi psicologica del “sentire” femminile che ha dato prova in scrittrici straordinarie come Virginia Woolf, Sylvia Plath, Emily Dickinson (solo per citarne alcune). Un testo teatrale ricco di simboli: il sentiero, l’ulivo, la fonte…simboli che l’autrice spiega nelle “note di intento e di scena”; una scrittura creativa che fa coesistere le antiche dicotomie di anima e corpo, materia e spirito, dentro/fuori.

*
ALTRE SEGNALAZIONISU Donna Moderna-Segni e sensi- Siti vari

Presentazione del libro : Verona Università degli studi - Milano Libreria delle Donne e  Casa della Poesia- Livorno Centro Donna- Roma Casa Internazionale delle Donne- Cremona Libreria Storica Il violino - Firenze Poggio Gherardo Teatro Costa- Ovada  Incontemporanea
*

Messo in scena a
- Firenze Poggio gherardo -Pari Opportunità Provincia Toscana- contributo della Senatrice e filosofa Vittoria Franco sul tema “ La donna nella Grecia antica”

-Vedi 5 messe in scena con Teatro Scientifico a Verona: Arcovolo dell’Arena, Wash Point,
Piazza dei Signori Loggia Fra Giocondo- Società Letteraria – Casa Caserta

-Milano Palazzina Liberty presentazione Giancarlo Majorino. 0ttobre 2006