Ida Travi - Stàsimi







da IL MANIFESTO 4 maggio 2011/Cultura
POESIA
Nei versi di Ida Travi il bisbiglio sommesso della lingua materna
 di Franca Rovigatti

«Tà, come tavolo, talamo, tasca. Tà come fine d'eternità, realtà, libertà... volontà... verità, vanità, carità...»: così Ida Travi nell'Introduzione inizia a compitare il titolo del suo nuovo libro, Tà, poesia dello spiraglio e della neve, appena uscito da Moretti & Vitali.
Lo spiraglio. Travi dice ancora: «Tà, come un taglio nella tenda», e la severa copertina, con l'Omaggio a Lucio Fontana, mostra sette tagli verticali su una tela chiara. Spiraglio, spiragli: ma da cui vedere cosa? «Un luogo austero, forse una casa, forse una ex fabbrica (...) è un luogo limitato da assi, chiuso da lenzuola...». Dallo spiraglio si intravedono oggetti, piccoli movimenti, e si possono udire i frammenti di un discorso continuamente interrotto e continuamente ripreso. Il lettore, incollato allo spiraglio, cerca di mettere insieme indizi, ma il piano dell'azione si sposta di continuo, la scena scompare.
Attraverso lo spiraglio appaiono gli oggetti di un quotidiano povero e antico, contadino: la vanga, il rastrello, il carro, il cucchiaio, il pettine, il tovagliolo, il cappotto, il pane, la tazza, la corda, la falce, la benda, il martello. Poco di più: sono questi gli utensili di Tà. Gli abitanti «sono esseri comuni, sono post. Post-studenti, ex-lavoratori, viandanti... Vanno e vengono. Ripetono sempre le stesse cose», hanno nomi strani, che non appartengono a nessuna lingua. Quel che di loro si riesce a vedere sono frammenti di gesti, baluginii, posizioni. Un vivere muto, sordo: la voce-poeta pone continue, accorate, domande. Come per svegliarli da un incanto che li ha resi sonnambuli. È la voce profondamente coinvolta di uno che sta fuori, e guarda, ma che sta anche totalmente dentro: «Vivono con noi / Dici sempre - con noi / ma che vuol dire noi / noi chi?».
A Tà c'è un'attesa: lo annuncia il titolo dell'introduzione, Tempo d'attesa fra le quattro mura. Ma non si capisce se l'evento atteso sia temuto o desiderato: certo, è tangibile il bisogno che qualcosa arrivi e muti lo stato di inerzia, lo stallo: «Non c'è niente di liquido, qui dentro / non c'è niente che scorra, in questa casa». Qualcosa che arrivi come il vento, il bambino, l'amore: «Quando tutto sarà al suo posto / saremo felici come colombi / Avremo i capelli azzurri / bianchi come la neve». L'attesa riguarda il futuro, implica il tempo («Tà, come la lancetta che si sposta»): ma il tempo è poco, «È tutto così breve, qui». L'ordinato procedere del tempo, avverte Travi in epigrafe all'introduzione, è anch'esso un'illusione, almeno a Tà: «Impossibile tornare al passato, impossibile guardare al futuro». A Tà sembra non esserci posto per la speranza. Ma c'è la neve. Ci sono gli alberi, i rami, il fiume, l'innocenza degli animali, delle rose, delle fragole. Oltre lo spiraglio, in un suo altrove, la natura si concede alla visione. Non parla, non tace, non risponde, non interroga: semplicemente c'è.
La lingua di Tà è povera: un vocabolario ridotto al minimo, ma sempre estremamente concreto. Al punto che sembra di vederla nella penombra, la tazza, di poterla prendere dal tavolo di legno scuro, di poterci bere. Una parola tanto concreta da realizzare l'unione di segno, suono e senso, il sogno di ogni poeta, la caratteristica vitale della poesia orale. Su questo tema, o luogo, Ida Travi ha lavorato a lungo (L'aspetto orale della poesia, Moretti & Vitali 2007): per rendersene conto, basta averla sentita quando «dice» i suoi testi. Secondo Travi (che domani sera all'Esc di Roma, via dei Volsci 158, «dirà» Tà) poesia orale è «la prima lingua, la lingua materna (...) che contiene - attraverso la lingua poetica - il bisbiglio». La «lingua materna» come matrice della «lingua poetica» è tema fondamentale nella poetica di Ida Travi, non si può prescinderne se si vuole entrare in sintonia con Tà. Come dice Travi: «credo che ognuno porti impressa in sé la traccia di quell'incredibile esperienza che fu l'ascolto delle voci fuori, quando ancora eravamo molto piccoli e la nostra vita assomigliava ad un interno lattescente».
Ecco lo spiraglio. Ecco la neve.

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