POETICA IERI E OGGI : LE TAPPE, I DOCUMENTI,L'ATTIVITA'

Nell'ottobre del 2000 cominciava il secondo ciclo di
 POETICA Un percorso tra poesia e pensiero
culminato con il reading al Conservatorio nel mese di giugno.


*
Come eravamo Festival Verona Poesia 2004









Nell'aprile 2005 cominciava il secondo ciclo di
 POETICA Un percorso tra poesia e pensiero
CANTO GLOBALE

Stiamo ricostruendo la storia di Poetica, recupereremo presto gli altri manifesti


in quegli anni...
*
da L'Unità   29 marzo 2003
Le radiocuffie di Baghdad

di Ida Travi
Marzo 2003: i bombardamenti su Baghdad sono stati annunciati e chi non è in condizioni di andarsene fa scorta di viveri e attrezza la casa per la misera difesa con lo scotch, la plastica, la lampada a olio. «Ci sono lunghe file di donne in lacrime nei negozi che vendono musica e quel che serve per ascoltarla». dice un'inviata delTg3, verso sera. Cosa fanno quelle donne alla vigilia di una guerra nei negozi di musica? Comprano radiocuffie, piccoli registratori, o altri piccoli, aggeggi portatili, a pile, perché i loro bambini sotto i bombardamenti possano ascoltare le loro musiche preferite, anche se viene a mancare la corrente elettrica. Comprano radiocuffie perché la musica possa entrare direttamente nelle orecchie, a tutto volume, e possa coprire, o almeno attutire il rumore delle esplosioni, quelle lontane, e anche quelle più vicine. Quelle madri di Baghdad in fila tentano di scongiurare il terrore dei loro figli come possono. Non ci sono più ragioni, né spiegazioni da dare: si tratta, con uno stratagemma, di tentare di contenere i danni fatti allo spirito, almeno prima di trovarsi di fronte alla probabile devastazione dei corpi. Non è difficile immaginare la scena: ci sono madri rannicchiate negli angoli con il loro bambino in braccio. Fuori cadono le bombe, il bambino ha la cuffia in testa o qualcosa del genere e magari non sente, magari non sente se il volume è alto, e magari la madre tamburella con le dita, oppure si alza e magari si mette a sua volta a ballare e cantare facendo l'impazzita, finché si può. Non far sentire. Coprire gli orribili suoni con altri suoni che entrano nelle orecchie e distolgono dal mondo. Ci vuole uno strumento, un mezzo risuonante, amplificante, per distogliere in fretta dagli orrori del mondo. Lo dice bene Simone Weil nei suoi Quaderni : «Se odo una esplosione la paura risiede nel rumore e prende la mia anima attraverso l'udito, senza che io possa rifiutarmi di avere paura più che di udire». Le donne di Baghdad lo sanno benissimo, non c'è bisogno di spiegarglielo, allora se nulla si può contro le bombe, qualcosa si può fare contro quel rumore.
Un tempo non c'era scelta: sotto le bombe la madre parlava e confortava, rassicurava con la voce, abbracciando e dicendo - «adesso passa». Quel tempo non è così lontano. Torna alla mente un episodio recente, incredibile ma vero, un ritaglio di notizia: riguarda uno dei tanti viaggi di clandestini - via mare - verso l'Italia. Riguarda il momento in cui il boia scafista getta a uno a uno i suoi passeggeri in mare e tra questi una madre e un bambino, che si tengono allacciati. Purtroppo non c'è altro che la verità in questa scena: madre e bambino sono abbracciati tra i flutti e la madre prega il bambino di non piangere, che tra poco saranno a riva e potranno bere e mangiare. Non piangere. Ciascuno se la ripete tra sé questa piccola frase nei momenti peggiori. In questi anni ce la ripetiamo continuamente. È la frase della madre, è la pietra su cui si costruisce la lingua materna. La lingua materna segna il ritmo necessario con cui le donne tentano di salvare il salvabile, di rifare un po' d'ordine. Invece che piangere. C'è una figura femminile che dopo il disastro raccoglie i cocci del mondo, cioè solleva, i macigni: è una figura attiva metà Cenerentola e metà Ercole. Lei fa quel che può, e quel che può è incredibile. Si dà sempre da fare, e c'è qualcosa di vigoroso nella sua lingua. È una lingua che scioglie i discorsi e li traduce in agire, perché è una lingua che si adatta, è intelligente, e proprio per questo non dirà mai tutta la verità. Le donne di Baghdad in fila davanti al negozio di musica sanno che la loro voce non può coprire il rumore delle bombe ma si attrezzano e vanno in cerca di qualcosa che le aiuti: vogliono stordire i loro figli, convincerli che il mondo non è così tremendo, che ci sarà il momento in cui si potrà ancora parlare. Vanno bene, certo, pane e acqua, e luce, e un po' di cioccolato, ma la musica è la cosa in più: va oltre gli occhi e lo stomaco e, passata per le orecchie, va a massaggiare il muscolo del cuore, dando una mano allo spirito. Poi, passate le bombe, noi vediamo i piccoli sedere ancora in grembo, come sempre, e niente coprirà le parole: ricompariranno i mostri nelle favole: i buoni e i cattivi, la colpa e il castigo, il sentiero nel bosco, e - non piangere, il lupo morirà e tu ritroverai la tua casa. A vederli lì così, la madre e «il piccolo» potrebbero persino sembrare dei beati, ma non lo sono. Ci sono momenti in cui la storia staglia la loro immagine, per brevi attimi, in piccoli lampi e mostra la loro vera condizione. I piccoli che noi intendiamo non sono solo i bambini: sono tutti coloro che la storia e l'agire degli esseri mette in una posizione di stallo, sbilanciati rispetto ai «grandi», sono quelli che stanno in basso, quelli che stanno sotto le bombe, quelli resi visibili proprio da ciò che li minaccia. Eppure, prima e dopo le bombe, sono sempre stati lì, la donna e il piccolo con la radiocuffia in testa. Maria Zambrano li ha visti bene. «Dal fondo della solitudine e ancor più dell'infelicità, se è dato che una finestra si apra, si può affacciandosi, vedere poiché avanzano lontani e intangibili, si fanno presenti, si manifestano, proprio quando l'infelicità è più profonda». (I beati)

29 marzo 2003
pubblicato nell'edizione Nazionale (pagina 30) nella sezione "Cultura"


*
Memorie, profezie? 
nove anni fa.... 
da L'Unità   27 settembre 2003
La massa informatica e la massa dei poveri
di Ida Travi
Tre o quattro computer al posto del calcetto. Alla cassa c'è la tessera magnetica. Cinque euro, un'ora di navigazione, poi si butta. Fuori dal bar, come un tempo fuori dalla chiesa, c'è un povero accucciato con una scatola tra le gambe. La scatola è vuota perché a far la carità, si dice, gli si fa del male. Altri dormono contro il muro. Davanti a uno di questi ex-bar, ho avuto una specie di visione epocale. Da un lato c'era una massa informatica un po' inglese, muta, rilassata e soprattutto seduta, e dall'altro lato, rasoterra, c'era una massa di poveri, come dannati, accucciati, questuanti in tutte le lingue. Tra la massa informatica e la massa dei poveri, c'è la massa cuscinetto dei lavoratori per caso, degli informatici forzati e dentro a questa massa cuscinetto, ognuno guardando il suo simile, pensa al fantasma dell'alienato. Un tempo, l'alienato aveva, sì, il volto in sbiadimento, ma aveva ancora gambe e braccia. Ora, il suo discendente informatico è più impedito, e lavora con le dita. Parla una lingua di mezzo e la estende agli altri esseri. Ha un sesso trasparente, snidato, s'insinua dappertutto e non è mai da nessuna parte. Alienato da che? Possiede il suo mezzo di produzione, e il suo mezzo di produzione produce comunicazione, perché allora quando gli chiedono «Chi sei?» risponde con un altro nome inventato. Perché tanta paura di perdere l'ID? Sulla terra scorre ancora un fiume tragico: l'eroe informatico sta perdendo gli occhi, non riconosce l'altro, e l'altro è destinato a restare invisibile anche quando si mostrerà. Tutto è oscuro in questa superficie della Storia: i poveri buoni, non sono così buoni, i poveri cattivi non sono così cattivi… Tutti i piani saltano. Sfruttati e sfruttatori oscillano paurosamente uno sull'altro e perdono la faccia. Qualcuno sparge terrore, qualcuno fa razzìa… Dalla massa cuscinetto in cui sono, domando: che fare? C'è qualcuno in questa massa? Io che scrivo queste righe sono una persona. Io, in particolare, mi occupo di poesia e non sono un'esperta. Io non ho alcuna probabilità di dire il vero, ma ho gli occhi bene aperti su quel che vedo. Io ora sono al mio computer, e mentre siedo un'ape mi tormenta. Va e viene Esegue il suo compito: lavora, vive. Il suo ronzio mi fa alzare: sù, sù.! Sù! Sembra un'ape operaia. Un'ape operaia? Questa parola sveglia in me una nuova visione di massa. È una nuova massa «operaia» quella che si sta alzando, anzi «operante», le erano solo cadute le braccia. Lo so, è irragionevole, questa è poesia. Ma questa è la mia lingua, è la lingua attiva con cui prego quel dio personale ch'è lo stesso per tutti, - credenti e no - e gli dico: aiutami a capire come operare in pratica. Il dio di tutti è un dio atterrato e si trova ancora in mezzo ai poveri. Cerco di capire e in attesa di capire mi tornano alla mente le parole della poetessa russa Marina Cvetaeva che scriveva: «Servire il proprio tempo è eseguire un ordine per disperazione. E infatti l'ateo ha solo questo preciso minuto del secolo, solo questa misura di peso, l'altra e familiare faccia del carpe diem, giacchè se va appena un po' più in là, è spacciato».

27 settembre 2003
pubblicato nell'edizione Nazionale (pagina 24) nella sezione "Cultura"
http://cerca.unita.it/ARCHIVE/xml/100000/96993.xml?key=Ida+Travi&first=1&orderby=0&f=fir





Commenti