Rai News 24 | Ida Travi Katrin saluti dalla casa di nessuno

Rai News | di Luigia Sorrentino
Il primo blog di poesia della Rai
Katrin Saluti dalla casa di nessuno
Rai News 24 Ida Travi TA' | a cura di Luigia Sorrentino 2011
Rai News 24 Ida Travi | KATRIN a cura di Luigia Sorrentino 2014

Il contrario dell'epica
"La poesia dei Tolki: 
una poetica comunità di parlanti"




Katrin Saluti dalla casa di nessuno“, prosegue la poetica mitologia contemporanea avviata anni fa con TA’ poesia dello spiraglio e della neve: stesse figure che ritornano, stesso dire. Il contrario dell'epica. TÀ era un tempo e un luogo,
e da lì, passando attraverso il casolare rosso di 
Il mio nome è Inna sono arrivata a questo nuovo libro. Sono dunque tre libri ma non si tratta d’una trilogia...non mi attraggono le trilogie: una trilogia è qualcosa che conclude e insieme si conclude in se stessa, mentre qui c’è un’oscurità che continua, cioè una poetica. Nessun approdo, nessun appiglio se non il ramo basso d’un ciliegio. Un pettinino, una staccionata…una scatola, un martello. Testi brevi, testi elementari, mattoni senza peso destinati a poggiare uno sull’altro, senza peso. Queste poesie sono il poco che resta a partire da TÀ , da quella prima spoliazione, da quel taglio.

Non è semplice: bisogna saltare avanti e indietro, dentro e fuori dalle pagine. Bisogna staccarsi – da cosa? – bisogna abbandonare e ritrovare la parola, bisogna diventare poesia noi stessi, senza soluzione di continuità – e la storia? – senza storia…siamo soli. Non si tratta di fare attenzione alle piccole cose: siamo all’interno d’un mondo, siamo all’interno di qualcosa di molto grande, anche se stiamo solo armeggiando catìni, fazzoletti.
“In una specie di casa deposito Katrin, Usov, Suri e Van sulla faccia della terra si trovano a vivere la loro condizione di parlanti, qui chiamati Tolki. Sacri e miserabili, misteriosi e semplici, li abbiamo già incontrati nei libri precedenti… Chi è un Tolki? Penso a un Tolki come a un parlêtre, un essere marchiato dal linguaggio. Parlêtre è un neologismo di Lacan che fonde indissolubilmente l’essere al linguaggio, nell’atto della pronuncia. Vedo i Tolki come lavoranti o non lavoranti, esseri che nello scontro con la poesia assumono in se stessi il peso d’una lingua povera, dura come una colpa, leggera come una liberazione.
(Ida Travi – dalla quarta di copertina)
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Dalla postfazione di Alessandra Pigliaru
“ […] Se ne Il mio nome è Inna il mondo si era ammalato «come un bambino piccolo», la nuova silloge di Ida Travi, Katrin. Saluti dalla casa di nessuno, si apre all’insegna del miracolo della visione, l’altro nome della libertà. Quella di cui tutti i viventi sono provvisti nello scardinamento dei recinti. Quella cercata nella preghiera dell’interezza della poesia. Nell’istante strappato e fortunato del raccoglimento. In silenzio. Non c’è separazione dal mondo bensì distanza benedetta dall’orlo cieco della soggettivazione.
A promettere resurrezione terrestre viene avanti Katrin. Nel coraggio di aver attraversato la perdita, non può che arrivare dopo Inna. È troppo giovane per aver acconsentito ad accudimenti non suoi pur ammettendo che si avverte come «Il mondo non è meraviglioso | non viene a salutarmi, non mi culla». Ma lei supera l’incuria. Ricorda. E infatti illumina la traiettoria indicata da Inna, con gratitudine. Katrin detta la mappa del cielo insieme a quel suo digiuno-rifugio del grembiule, trattenuto con la pacificazione di una regina priva di corona. «Credi che sia facile per me | lavorare ogni giorno | allacciarmi ogni volta il grembiule? || Come quando mi scendevano | le lacrime, come quando staccavo la macchina e di colpo | schizzavano le polveri in faccia».
Il grembiule è una volta celeste che respinge la condizione del castigo, è lo spazio simbolico che le ricorda chi è: una creatura diafana che chiama a sé l’incedere stesso del tempo poetico. Nel ritmo di una ripetizione, quando vi è la capacità di fare arretrare la miseria per aprirsi alla rotondità del pianto.
«Sono Katrin, io, sono l’abitante, la paziente», con un pallore che taglia il «cerchietto di vapore sulla testa» e un pettine a mettere ordine nello scompiglio. […] Questa donna «bianca come una sigaretta», vive nei pressi di un deposito e il suo compito non è quello di desiderare famiglia. Fa parte anche lei dei Tolki, comunità popolosa di anime semplici che visita la poetica di Ida Travi dai tempi di Tà. Poesia dello spiraglio e della neve. Anche qui sono identificati come i parlanti ma Usov, il giovane uomo, Suri, il dottore e Van, il bambino, non sembrano preoccuparsi troppo dei propri simili. Per raccontare il gioco dell’andirivieni poetico che tende al miracolo, Ida Travi introduce così un ulteriore e straordinario scorcio della sua poesia per personaggi e traccia al presente un luogo tanto immaginifico quanto materiale dell’esistente. Le sue creature stabiliscono infatti un’occasione unica nel panorama poetico contemporaneo; diventano esse stesse il passaggio verso la profondità di una storia che è anzitutto la loro. E quando la mettono in scena sanno il come; ecco perché possono suggerire un altro governo delle cose e di se stessi, toccano le parti interstiziali di ciascuna e ciascuno di noi. […]
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